fino all’11 dicembre
Strani-ieri
Roma, Teatro Vascello
Da un mondo all’altro. Storie di migranti nostrani, mirabilmente fuse e raccontate tra lacrime e sospiri.
Lo spettacolo ideato da Simone Schinocca racconta l’intreccio di storie, situazioni, luoghi, personaggi, attimi di un passato italiano non così remoto.
La macrostoria vide uomini e donne lasciare il Sud per andare a lavorare al Nord, lontano dalla propria terra, da cui spesso si sentirono respinti e inascoltati (Terra ca nun senti è una delle colonne sonore).
Durante il ventennio 1950-1970 la meta privilegiata fu Torino. In questo contesto generale s’inscrivono le vicende di Strani-ieri, un mélange di reali testimonianze fornite da chi ancora conserva memoria di quei momenti.
A esordire sono le donne, che dall’alto di un monte urlano la disperazione e il nome del proprio marito, emigrato a Torino per lavoro. Consce della vanità di quel gesto, desiderano illudersi che i mariti possano a loro volta rispondere…
Ci troviamo all’improvviso su uno scomodo vagone del “treno del sole” diretto a Torino.
Tre uomini (un napoletano, un siciliano e un pugliese) e tre donne (tra cui vi è anche una veneziana sradicata) si trovano gomito a gomito, fianco a fianco in un’avventura dai contorni ancora incerti. Le difficoltà si presentano ancor prima di giungere a destinazione: non è semplice ammettere che a Torino non si va per “un gianduiotto e un caffettino”, come dirà uno dei compagni di viaggio, ma per bisogno, per un bisogno che accomuna tutti: il lavoro.
Il viaggio è disagio, incertezza, bizzarria: i viaggiatori sono sbattuti qua e là dal movimento del treno, metafora dei pensieri che li agita continuamente.
L’arrivo a Torino è accompagnato dai turbamenti dovuti ai ritmi di una città sempre in corsa e dall’entusiasmo incredulo dei personaggi che, storditi da sentimenti contrastanti, intonano: “Torino, Torino che bella città! Si mangia, si beve e bene si sta!”.
Le prime difficoltà non si fanno aspettare: la ricerca della casa non è cosa semplice per i nostri sette, che ricevono sempre la solita, netta risposta: “NON SI AFFITTA A MERIDIONALI!”.
Un’aspra ironia investe la descrizione di una ricerca disperata che spesso si risolve con strambi éscamotage: il siciliano riesce a prendere alloggio dopo aver persuaso la padrona di casa di esser lì per motivi di studio e non di lavoro.
Più agevole è invece l’accesso al lavoro, soprattutto alle mansioni più dure e pericolose della fabbrica. L’entusiasmo dei primi giorni di lavoro si smorza fino corrodere animo e corpo dei nostri sette. Dietro l’ampleur della FIAT si cela un mondo di lavoratori estenuati e meccanizzati.
La catena di montaggio umano compone una robotica coreografia, scandita da ritmi martellanti, che mima una situazione già tipizzata e conosciuta, senz’altro memore delle più note scene di Tempi Moderni.
Pian piano questi nuovi operai percepiscono il disprezzo dei torinesi, che evitano i “napuli” come la peste. Man mano che il fenomeno dell’immigrazione prende piede, la città cerca di porvi un freno: l’istruzione, la casa e in seguito anche il lavoro sono da ostacolo all’integrazione. Del resto bisogna stare in guardia, lo dice anche “La Stampa” che una moltitudine di persone sale su con le carovane!
Col tempo la brigata si abitua alla nuova realtà perché ha dato loro lavoro, amicizia, amore; ma vi è anche chi rimpiange la vita di prima, come il napoletano, che non si sente amato dai torinesi e non accetta il cielo di quella città, sempre così bigio. Innumerevoli clichés, del resto, si sovrappongono nella definizione di sud e di abitante meridionale (così come vengono formulati dai torinesi) e nella descrizione di Torino e dei suoi abitanti (magri, smunti, tristi).
I momenti più tragici della rappresentazione sono improvvisamente interrotti da exploit di euforia e pazzia robotica, musica e balli, perché del resto la spirale degli eventi di quegli anni abbraccia la gioia e la morte, il dolore e la vita. Così si assiste all’impazzita girandola di eventi che travolge i nostri migranti: le serate di festa in città e in paese, i riti ancestrali, il matrimonio tra migranti; la morte di uno dei protagonisti; la solitudine delle donne; la nascita dei bambini, frutto dell’unione tra due migranti.
Cade sotto gli occhi degli spettatori un’incredibile miscela di ironia e malinconia, di situazioni e linguaggi: ma cos’è l’immigrazione se non un mélange, un fecondo incontro? Torino non ha pur tratto vantaggio da questo incontro-scontro di mentalità, culture, linguaggi?
È uno spettacolo ricco di spunti di riflessioni, di ricordi, di oggetti, di istanti di vita che non sono del resto così estranei al presente. L’eccellente compagnia teatrale è esplosiva, energica; la storia va oltre lo stanco sentimentalismo che così spesso accompagna le storie di emigrazione, esaltando al contrario aspetti come il realismo, il dinamismo, il coraggio, oscillanti tra la vita e la morte, la gioia e il dolore.
vincenza accardi
Regia: Simone Schinocca
Con Valentina Aicardi, Elio D'Alessandro, Antonella Delli Gatti, Silvia Freda, Costanza Maria Frola, Paolo Li Volsi, Nicola Marchitiello, Giuliano Scarpinato*
*nelle repliche del 8 e 11 dicembre sostituisce Elio D'alessandro
Ideazione: Simone Schinocca
Assistenza alla regia: Valentina Veratrini
Drammaturgia: Simone Schinocca - Livio Taddeo
Scenografia: Federica Beccaria
Costumi: Agostino Porchietto
Immagine della fabbrica: Aziz El Youssoufi
Banda: Pappazzum
Musiche e arrangiamenti: Elio D'Alessandro
Registrazioni sonore: Miao (Musica Internet Arte e Oltre)
Progetto grafico: Silvio Giordano
Ufficio stampa: Francesca Mazzocca
Distribuzione: Nido di ragno - Tedacà - La tela di aracne
Responsabili tecnici: Giuseppe Venuti - Walter Schinocca
dal 6 all’11 dicembre 2011
Strani-ieri. Da sud a nord. La nostra storia parte da qui.
regia di Simone Schinocca
Teatro Vascello
Via Giacinto Carini, 78 - 00132 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 21; domenica ore 18
Ingresso: intero € 20; ridotto € 15
Info: 065881021 - 065898031