Alma Tadema e i Pittori dell’800 Inglese
Collezione Pérez Simon
Dal 16 Febbraio al 5 Giugno 2014
Chiostro del Bramante
Roma
Arriva nella Capitale un’esposizione che fa della bellezza il suo fiore all’occhiello: “Alma Tadema e i Pittori dell’800 Inglese, Collezione Pérez Simon”.
Dopo aver conquistato il pubblico parigino, ben 50 opere approdano in Italia presso il Chiostro del Bramante, luogo reduce dallo straordinario successo di pubblico riscontrato in occasione della mostra sulla leggendaria figura di Cleopatra.
L’allestimento dedicato agli artisti britannici del XIX secolo è un inno alla bellezza femminile e la rosa dei maestri include, oltre a Sir Lawrence Alma Tadema, anche John William Godward, William Waterhouse, Dante Gabriel Rossetti, William Clarke Wontner e Edward Poynter, nomi straordinari che operarono in quel fortunato momento storico che fu l’epoca vittoriana. Come già anticipato, il fulcro della mostra ruota attorno ai lavori di Sir Lawrence Alma Tadema, originario dei Paesi Bassi che però ottenne la cittadinanza britannica stabilendosi definitivamente in Inghilterra nel 1873.
Sin dalla più tenera età Tadema mostrò particolari doti artistiche approfondendo i suoi studi e arrivando a detenere una cattedra presso la Royal Academy. Tra le numerose opere in esposizione riconducibili a Tadema si segnala “Agrippina con le ceneri di Germanico” dove la vivacità dei colori contrasta con la rassegnata desolazione della moglie dell’imperatore, consapevole del triste destino che l’attende. Nel quadro dal titolo “Cortesie senza speranza”, invece, si osserva una giovane coppia dal comportamento ben distinto: lui osserva la fanciulla con fare estasiato mentre lei, disinteressata alla corte dell’uomo, osserva il paesaggio al di fuori della finestra, completamente assorta in ben altri pensieri.
William Waterhouse incentrò la sua produzione artistica sui soggetti mitologici ed appartenne alla fortunata corrente dei preraffaelliti. Figlio di due pittori, anche Waterhouse studiò presso la Royal Academy e subì fortemente l’influsso di Alma Tadema; all’interno del Chiostro del Bramante di questo artista si può ammirare “Il canto di primavera”, tela che per certi versi riecheggia la “Primavera” di Botticelli con i suoi richiami al risvegliarsi della natura ma stavolta i protagonisti sono ben diversi: si possono osservare infatti dei bambini intenti a raccogliere fiori mentre una giovane donna li guarda con attenzione passeggiando in un campo.
A Dante Gabriel Rossetti, invece, si deve la nascita del Preraffaellismo, corrente artistica che si distinse per l’ispirazione che trasse dagli artisti del Quattrocento: Rossetti amò particolarmente il Dolce Stil Novo ed il Medioevo trasponendo nelle sue opere i temi prediletti. Musa del pittore fu inizialmente la moglie Elizabeth Siddal ma, in seguito alla sua tragica morte, Rossetti scelse altre donne per i suoi lavori: una di queste fu Jane Burden che ispirò l’artista per la sua “Venere Verticordia”; una sensuale dea dal seno scoperto fissa un punto non precisato mentre in una mano stringe una freccia e nell’altra reca un pomo: il fascino della donna è prepotente ed il suo busto ha una potenza tale che il dipinto potrebbe quasi paragonarsi ad una scultura.
Godward fu considerato l’allievo per eccellenza di Tadema ed in effetti le analogie tra i due sono molteplici e balzano subito agli occhi. Grazie ad un lungo soggiorno a Roma, l’artista poté approfondire lo studio dell’antichità classica ma la sua vita fu tormentata e i familiari osteggiarono sempre il suo amore per l’arte. In “Bellezza classica” si ammira una giovane donna di spalle dal profilo perfetto con un’acconciatura che richiama l’epoca classica; la pelle del viso è resa magnificamente e le lunghe ciglia scure incorniciano lo sguardo assolto della fanciulla.
Edward Poynter fu influenzato nella sua produzione artistica da Michelangelo Buonarroti: le sue opere avevano soprattutto carattere storico e mitologico come si evince da “Andromeda”, fanciulla condannata a morte a causa dell’alterigia materna, che nella tela è rappresentata legata ad una scogliera mentre il vento agita il suo mantello; la rassegnazione è dipinta sul volto della donna mentre il corpo perfetto fa mostra di sé negli istanti che precedono la fine.
Dello stesso periodo artistico fu anche William Clarke Wontner che, pur mostrando tratti analoghi agli artisti di cui si è parlato finora, non può essere totalmente ricondotto alla corrente preraffaellita. Tra i suoi lavori in mostra sembra giusto citare “La suonatrice di saz”: un’affascinante giovane donna guarda con sensualità il visitatore, la sua figura è placidamente seduta su un divano e reca in mano uno strumento musicale di chiara origine turca; la veste della donna è trasparente e non è difficile intuire al di sotto di essa le conturbanti forme del corpo ulteriormente sottolineate da un ricco corredo di gioielli.
Sembra chiaro, analizzando questi lavori, che la seconda metà del XIX secolo fu particolarmente feconda per l’Inghilterra, sia dal punto di vista economico che artistico, ed i capolavori in mostra sono il risultato di quegli anni; i quadri esposti provengono dalla ricchissima collezione del mecenate messicano Pérez Simon che iniziò ad investire nell’arte circa 25 anni fa, dimostrando di avere un gusto raffinato ed una particolare predilezione per i pittori dell’Ottocento inglese.
Gli artisti che operarono in quest’epoca furono tutti accomunati dall’ammirazione nei confronti della mitologia greca e romana ispirandosi anche al Medioevo, oltre che ai drammi shakespeariani: al centro delle opere vi sono esclusivamente le donne, magnifiche creature che solleticano l’immaginario con la loro bellezza perfetta ed eterea. La donna è interpretata come femme fatale, ammaliatrice, maga, eroina ma anche come fanciulla angelica che, al contempo, non disdegna la sua sensualità.
La figura femminile, nell’Ottocento ancora costretta dalle rigide convenzioni sociali, si libera dai cliché attraverso le pennellate sapienti di questi pittori che sanno riconoscere la sua valenza, la sua forza e fragilità: i volti sono caratterizzati da una dolcezza evanescente, sottolineata anche dal gioco di luci ed ombre, il panneggio delle vesti sembra materializzarsi mentre accarezza la sinuosità delle forme corporee, lo sguardo delle protagoniste svela la complessità dell’animo femminile, donando all’occhio del visitatore tutte le sue inquietudini. Inoltre, la cura degli ambienti è superlativa e ciò si evince dall’uso magistrale dei colori che spaziano dai toni vivaci a quelli tenui, facendo così rivivere magiche atmosfere dei secoli passati, i paesaggi rappresentati come anche i mobili dipinti denotano una cura dei dettagli quasi maniacale offrendo però quadri dal gusto particolarissimo.
La fortuna di questi artisti si arrestò con il sopraggiungere del primo conflitto mondiale, conflitto che sembrò condannare le magnifiche tele ad una morte certa: soltanto nella seconda metà del Novecento estimatori come Pérez Simon hanno restituito a questi quadri il posto privilegiato che meritano. Gli esponenti di questa corrente artistica, attraverso i loro viaggi, furono impregnati di quella classicità che rinacque proprio nell’Ottocento e seppero trasporre nelle loro tele tutte le conoscenze acquisite: di certo, se non fosse stato per le menti illuminate di ricchi esponenti dell’aristocrazia inglese, questi artisti non avrebbero potuto esercitare la loro maestria in modo così sapiente ed oggi non potremmo apprezzare la bellezza di questi lavori.
A rendere ancora più suggestiva la visita è sicuramente l’allestimento realizzato all’interno del Chiostro del Bramante: un’audioguida, che si avvale della tecnologia touchscreen, conduce il visitatore fornendogli descrizioni dettagliate che vengono allietate da un accompagnamento musicale, le pareti sono dipinte con delicati colori che infondono benessere, inoltre in ogni sala è riportata non solo una descrizione degli autori ma anche una citazione letteraria ad hoc; anche il gioco delle luci è studiato accuratamente e fornisce la giusta importanza ad ogni opera esposta.
Ma la particolarità che conquista l’osservatore è custodita all’interno dell’ultima sala: in questo ambiente, infatti, troneggia in tutta la sua magnificenza il famoso capolavoro di Alma Tadema dal titolo “Le rose di Eliogabalo”, quadro che riproduce uno dei leggendari banchetti dell’imperatore durante i quali si dice che scendessero dal soffitto cascate di petali di rose; e proprio per ricreare l’atmosfera, in tutto l’ambiente vi è un soave ma deciso profumo di rose, quasi una suggestione che invita lo spettatore a rivivere quei pranzi sontuosi: indubbiamente una scelta indovinata e di grande impatto emozionale. Raffinatezza, sensualità, storia, fascino: è ricchissima la terminologia che potrebbe applicarsi a questa esposizione che, dopo Parigi, ha eletto Roma come patria.
Un sincero plauso va fatto ai curatori della mostra e, pur osservando con la dovuta neutralità e con una buona dose di criticità le opere in mostra, risulta davvero complesso trovare difetti all’interno dell’allestimento. La produzione artistica di questi autori ipnotizza per la sua bellezza ed infonde un diffuso benessere, perché è questo l’effetto che fa la vera arte.
Francesca Salvato
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